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21.05.2012 19:23

 

Ricordo che da piccola mio papà ci aveva insegnato il gioco degli scacchi e si giocava spesso con lui e con i miei fratelli.

Poi, negli anni, ho perso completamente interesse per questo “gioco”, non l’ho mai approfondito, ed è rimasto un ricordo della mia infanzia.

Ora trovo improvvisamente l’invito del mio amico Alfredo a ricordare, a ri-considerare questi misteriosi personaggi bianchi e neri e lo spazio in cui si muovono, secondo precise regole.

Sentendo Alfredo raccontare un po’ la genesi di questo suo lavoro che presenta qui a S. Rocco, mi si chiarisce qualche “brandello” di pensiero; non pretendo di dire qualcosa di particolarmente geniale, ma davanti ad un ‘opera di un artista l’invito è quello di “incontrarla” e così provo a fare.

Provo ad immaginare (perché mentre scrivo la mostra non è ancora installata) la disposizione dei pezzi e il mio aggirarmi tra loro.

Capisco che mi muovo in silenzio, tra una schiera di personaggi disposti in un ordine diverso da quello canonico della scacchiera: forse si può incontrare nella realtà un ordine differente da quello che il nostro pensiero aveva elaborato?

E’ un ordine preferibile quello che nella giornata accade?

Oppure la nostra volontà resiste ad una scansione diversa delle situazioni?

In un caso non abbiamo accesso ad una conoscenza nuova, perché tutte le “mosse” della giornata sono già pianificate.

Nell’altro caso, invece, la realtà ci sorprende e siamo invitati a differire il percorso che avevamo stabilito e, quindi, possiamo aprirci a seguire qualcosa non pre-disposto da noi.

E’, credo, una scelta quotidiana che dobbiamo fare.

Mi sembra anche che lo spazio in cui sono disposti gli scacchi possa essere una piazza e, girovagando, guardo una persona di sfuggita, ne colgo alcuni tratti; poi proseguo e un’altra mi si para di fronte e sono costretta a guardarla con più attenzione.

Oppure c’è un semaforo che raggruppa alcuni e, mentre attendo il verde, li osservo e nei brevi secondi il loro volto, in qualche modo, mi parla di tristezza, delusione, attesa, della casa, della moglie dei figli e così me li porto appresso mentre attraverso con loro.

Alcuni restano indietro, cambiano direzione e li perdo; ma ho avuto un attimo in cui sono stai “miei”, con me.

Per una manciata di secondi è come se avessi detto loro: mi interessate!

Folla di anonimi che ogni giorno percorrono spazi, ti passano vicino, proseguono ciascuno verso un proprio intento tenuto stretto stretto stretto con il desiderio che possa soddisfare il cuore che attende: lui attende sempre qualcosa di nuovo.

 

Letizia Fornasieri, 27 febbraio 2012