dal catalogo "Scacchi per S.Rocco"

21.05.2012 19:07

 

Non me ne voglia Alfredo Truttero se dico che più guardo questi suoi scacchi più mi convinco che siano delle creature beffarde e molto dadaiste. Mi spiego: non ho grande predisposizione per questo gioco, osservo con invidia chi dall’altra parte della scacchiera sa fissarsi con sintetica chiarezza nella mente tutte le possibilità che si aprono facendo una certa mossa. Chi addirittura riesce a farsi una visione “plastica” del gioco (così disse Duchamp). Ammiro il distacco con cui i grandi scacchisti sanno trasferirsi in un sovramondo dove nulla arriva a disturbare la logica complessa del gioco. Ma rispetto a loro sono spettatore imbambolato, che s’ingarbuglia al primo incrocio di ipotesi possibili sulla scacchiera. Mi intimidisce persino l’ordine ferreo di quei quadrati che non concedono vie di fuga e non perdonano il minimo sconfinamento. Potrà capire Truttero che quando la mia posta elettronica per la prima volta ha scaricato il lunghissimo corteo di pedine scolpite in questi anni, io abbia avvertito il brivido di una rivincita. Non so che tipo di giocatore sia Truttero, ma certo se per caso fosse un ottimo scacchista dubito che d’ora in avanti trovi qualcuno disposto serenamente a sfidarlo. Lui infatti con questi suoi lavori è come se fosse entrato nel dna degli scacchi e lo avesse ricombinato secondo una formula che prevede un’imprevedibilità assoluta: quella introdotta dalla nuova soggettività delle pedine. Un’operazione di questo tipo ce la saremmo potuta aspettare dai geniali maghi della Pixar. Invece è bello e sorprendente che arrivi per mani di un artista, che a furia di plasmare creta s’è visto sgusciar fuori dalle mani queste pedine antropomorfe pronte ad andare baldanzosamente all’avventura. Prima ancora di imbastire un discorso sulle forme che re, regine, torri o alfieri hanno assunto, è interessante cercare di capire il perché di questa loro trasformazione. E l’unica plausibile è che Truttero nella logica necessitante propria degli scacchi abbia voluto introdurre il “baco” di un imprevisto. D’ora in avanti chi potrà avere ancora certezze che la torre “Borges” avrà davvero solo movimenti rettilinei? E chi potrà garantire che l’alfiere “Picasso” si muova sì in diagonale, ma improvvisando spiazzanti zig zag che fanno girare la testa a giocatori e pedine? L’inquietudine seminata da Truttero è tanta, anche perché le sue pedine non sono creature bizzarre. Rispettano una struttura classica, con quelle basi inelegantite con modanature, e quel fusto studiato per essere meglio ergonomico. Il problema, l’anomalia, la beffa – chiamiamola come vogliamo – è quella testina che sbuca in alto. Testina sempre ben individualizzata. Troppo individualizzata per non sospettare che abbiano anche dei pensieri per la testa. E che quindi una volta sulla scacchiera non decidano di recitare fuori dal copione. Guardateli da vicino: tutta la simpatia che traspira dalle loro facce annuncia un instinto a giocare rompendo le regole; c’è nei loro sguardi puntuti l’avvisaglia di iniziative impreviste. Di voglia di far qualche sgambetto. Anzi, ad alcuni di loro par di sentir dire che imbrigliati in quella struttura, in quella posa rigida quasi da menhir, ci stanno solo per amore del loro autore. Ma che non tiri troppo la corda, perché dopo un po’ la voglia di andar liberi e di rompere il guscio non la si controlla più…

Se c’è qualcosa di duchampiano nelle pedine di Truttero, è la vocazione allo spiazzamento e all’ironia. Nate come strumento necessario ma passivo per il gioco, ne diventano invece le registe; spodestano il giocatore che dovrebbe pensarne i movimenti. Sulla piazza a scacchi c’è da aspettarsi mosse che non erano mai state messe nel conto.

 

Giuseppe Frangi 2012